Archive for ottobre 8th, 2007
Recinti
Ci provo gusto? Dovrò trovarci gusto in questa notte piena di tabacco:
la paura, che scende nei polmoni, rifiuta questo mondo e non vuole
risalire, lassù, oltre le narici che la vogliono sputare.
Ci provo gusto? Dovrò provarci gusto in questa notte densa di pensieri:
la paura, confusa dal fissare, ormai si è già stancata di lasciarmi
navigare, là, oltre i confini di una vista che può essere coi fiocchi,
e sta cercando, e prova in mille modi ad appannarmi gli occhi.
Ci provo gusto? Vorrei provarci gusto nel vedere i peli neri spuntare
sul collo e sulle guance, e protendersi, e cercare il desiderio là,
oltre i confini anche delle cosce bianche.
Ci provo gusto! Provo gusto per questa branda che mi tiene steso, in
fondo è lei, soltanto lei, che può reggere il mio peso.
E provo gusto ad indossare questi abiti sgualciti, perché il mio tempo
è come loro, che ormai sono marciti.
Ancora, provo gusto ad abbassarmi davanti ad ogni specchio, perché il
ricordo lacera le membra se mi guardo e mi scopro vecchio.
Ci provo gusto, ci provo tanto gusto ad indossare la cintura, che gli
altri… gli altri non si spiegano… e ad alcuni fa paura.
E ancora, provo gusto a soffocarmi, inghiottire litri di saliva, passare
nauseato tra i gendarmi, soffocare sopra seni smorti, annaspare,
smembrare gli altri corpi.
Ci provo gusto, ci proverò senz’altro gusto quando sarò giunto
all’ultimo secondo, ché la vita, la vita è libertà, e i cani, i cani
creperanno, non si nutriranno degli avanzi del mio mondo.
“… e i euggi di surdatti chen arraggë
(e gli occhi dei soldati cani arrabbiati)
cu’a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæ
(con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli)
a scurrï a gente cumme selvaggin-a
(a inseguire la gente come selvaggina)
finch’u sangue sarvaegu nu gh’à smurtau a qué
(finché il sangue selvatico non gli ha spento la voglia)
e doppu u feru in gua i feri d’ä prixúne
(e dopo il ferro in gola i ferri della prigione)
e ‘nte ferie a semensa velenusa d’ä depurtaziúne
(e nelle ferite il seme velenoso della deportazione)
perché de nostru da a cianûa a u meü
(perché di nostro dalla pianura al modo)
nu peua ciû cresce aerbu ni spica ni figgeü
(non possa più crescere albero né spiga né figlio)
Ezio