Palabrasenelviento

Palabras en el viento

La capovolta ambiguità di Orione

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Ho chiuso il mio ultimo post con la frase: “Ché da lì, veniamo”. Mi riferivo ovviamente al sole, in quanto stella, e la frase non ha niente di suggestivo né di romantico poiché si riferisce alla fisica delle particelle e al fatto che tutti gli elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio – per cui anche il basilare carbonio – sono stati letteralmente “cucinati” (ovvero: si sono formati) all’interno di stelle di grande massa che una volta giunte alla fase di supernove sono esplose scagliandoli sotto forma di nubi di particelle gas e plasma in tutte le direzioni. Siamo figli delle stelle, e non è una citazione.

Dall’isola di Mauritius, a gennaio, Orione appare alto nel cielo, quasi allo zenit, come vi appare il sole a mezzogiorno, e ovviamente rovesciato come il resto delle costellazioni visibili anche dall’emisfero nord. L’atmosfera che la luce attraversa è spessa pochi km e l’umidità è assai poca vista la vicinanza dell’isola al tropico del capricorno, per cui gli astri appaiono assai lucenti e con una magnitudine apparente che dai cieli di Roma posso a malapena sognare.

M42, il quarantaduesimo oggetto del catalogo Messier meglio conosciuto come la grande nebulosa di Orione, appare evidente anche ad occhio nudo senza andare a scomodare la visione distorta, e vista negli oculari di un semplice binocolo 10×50 prende la forma che si vede nella foto con contorni nitidi che si staccano perfettamente dal nero del cielo. Così come Rigel e Betelgeuse, gigante blu la prima e supergigante rossa la seconda, appaiono come gemme lucenti incastonate in un roccia nera e impenetrabile, là, oltre confini che si possono solo immaginare, con Sirio che brilla a sud-est e Aldebaran a nord-ovest. Uno spettacolo, per chi astrofilo lo è stato (e di tanto in tanto lo è ancora), da lasciare senza fiato. Ora capisco bene come sia stato possibile per gli antichi immergersi nel mito di Osiride (Sirio) e Orione. (Afferra la mano del re e vai alla via dell’acqua….) La via Lattea?

Così nacque la Via Lattea secondo il popolo Mosetenes:

Il verme era assai piccolo e si cibava di cuori di uccelli, e suo padre era un grande cacciatore. Il verme cresceva ogni giorno e ogni giorno pretendeva più cuori, così suo padre era costretto a cacciare tutto il giorno uccidendo sempre più uccelli. Quando crebbe a tal punto da diventare serpente gli uccelli erano scomparsi e suo padre cacciò giaguari e lui crebbe ancora divorando cuori di giaguari. Poi anche i giaguari finirono e il serpente pretese cuori umani e suo padre sterminò gli abitanti del villaggio e quelli dei villaggi vicini, ma un giorno fu sorpreso mentre dormiva sul ramo di un albero da pochi uomini superstiti che lo uccisero. Infuriato e affamato il serpente si mosse fino al villaggio dei superstiti per vendicare suo padre e lo avvolse con le sue spire così che nessuno potesse fuggire, ma gli uomini lo riempirono di frecce infuocate. Lui però non smise di crescere né di divorare uomini, fino all’ultimo, poi recuperò il corpo di suo padre e con lui tra le spire iniziò a crescere verso il cielo.
Sta ancora là e lo si può vedere la notte, flessuoso, sinuoso, con tutte le frecce infuocate ancora conficcate nelle spire.

L’isola non ho avuto tempo di visitarla ma Port Louis appare ad un rapido passaggio come una piccola metropoli dove convivono quartieri di case spoglie e senza intonaco esterno accanto a costruzioni in calcestruzzo o acciaio alte e nuove; più oltre ci sono sterminati campi di canna da zucchero con – di tanto in tanto – medie piantagioni di the, anche se la maggior risorsa è il turismo.
In effetti ho (abbiamo) villeggiato in un angolo di paradiso circondato da persone che sembravano angeli, il luogo migliore per un uomo e una donna che vogliono sognare che Dio li sta sognando.
Peccato solo che il paradiso, così come gli angeli, dopo un po’ facciano annoiare.

Written by Ezio

6 febbraio 2012 a 16:41

Pubblicato su Senza Categoria

2 Risposte

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  1. Lo sai già perché ne abbiamo parlato spesso che rimango sempre a bocca aperta per la competenza con cui riesci a parlare di Astronomia, e soprattutto con l’entusiasmo con cui ne parli. E’ sicuramente un’altra cosa che ci accomuna, anche io sono un appassionato di Astronomia, tanto è vero che avevo pronta la materia da dare come ulteriore materia fuori dal piano di studi, e non lo feci solo perché non ci fu tempo e la laurea era vicinissima. Ti avevo detto che cosa a livello emotivo volesse dire vedere Orione capovolto, e quest’anno lo abbiamo sperimentato insieme. Un ricordo da tenere ben custodito nel cassetto!
    Un’osservazione sulla tua ultima frase…spesso ci eravamo detti che una settimana fosse troppo poco…ma anche io a posteriori ho pensato che in effetti una settimana è stata più che sufficiente. Peccato per quel viaggio di ritorno per certi versi assurdo e massacrante! Teniamoci le cose belle ;-) Un abbraccio a te e Paola (dille di scrivere una poesia in romanesco sulle Mauritius, sarebbe bello secondo me) :)

    nico

    7 febbraio 2012 at 09:24

  2. Credo che l’uomo, fin dagli albori, abbia guardato il cielo pensando più al sogno che alla scienza, e continuo a sostenere l’idea che il cielo sia terreno fertile per i sognatori e gli scienziati anche perché sta lì e resta lì, ed è probabilmente assai più grande di quanto il sognatore e lo scienziato possano immaginare.
    Detto questo, e riguardo l’ultima frase, penso che in quella splendida settimana di pace e serenità mi sia venuto a mancare il luogo, che poi si costituisce dalle persone che ci vivono, dalla loro storia, dalle rughe sui loro volti e dalle loro mani che siano scheletriche o grasse. Insomma, Nico, credo anche io che quei sei giorni che abbiamo passato siano stati più che sufficienti per vedere e vivere quella sorta di paradiso, però me ne sarebbero serviti almeno altri sei per vedere e vivere l’isola e la vita sull’isola.
    Ovviamente anch’io mi tengo le cose belle, anche perché di brutte non ce ne sono state. :-)

    Un abbraccio

    Ezio

    7 febbraio 2012 at 14:55


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